Dott. Stefenelli, i dati del nostro ufficio studi ci dicono che la cardiologia è tra le aree nelle quali l’età incide maggiormente nell’accesso alle prestazioni. Cosa può dirci dal suo punto di osservazione?
Confermo che una buona percentuale delle persone che visitiamo è interessata dalle patologie degenerative, collegate cioè all’” invecchiamento” dell’apparato cardiovascolare.
Quello che è interessante è capire che in questo processo di usura incidono percentualmente più i fattori acquisiti, dovuti cioè non a componenti genetiche ma a stili di vita scorretti.
Torneremo tra poco agli stili di vita. Ci spieghi prima come avviene concretamente l’invecchiamento del nostro apparato cardiovascolare.
Accade che tali fattori determinano la formazione della cosiddetta placca aterosclerotica. Questa placca è una sorta di incrostazione che si forma all’interno delle arterie e che un po’ alla volta ne riduce il volume. Nella forma più grave questa diventa una vera e propria occlusione di un’arteria, tipica dell’infarto del miocardio o dell’ictus.
Scopo della prevenzione, quindi, deve essere quella di evitare la formazione precoce di questa placca.
E qui mettiamo nel mirino i fattori acquisiti ai quali faceva cenno….
Esattamente. Alla base del processo arteriosclerotico, a parte le componenti genetiche, ci sono le abitudini di vita.
Il primo elemento da tenere sotto controllo è la dieta, specialmente se è una dieta ipercalorica e iperlipidica, cioè con troppi zuccheri e troppi grassi. E aggiungo le bibite gassate, che contengono il saccarosio, che è per intenderci lo zucchero bianco che usiamo per addolcire il caffè. Da questi squilibri nella dieta derivano l’aumento del colesterolo e dei trigliceridi nel sangue, che sono tra le cause della formazione della placca.
E non dobbiamo trascurare il fatto che essi possono essere pericolosi “acceleratori” di patologie – come il diabete – per le quali magari abbiamo una predisposizione genetica e la cui manifestazione viene appunto favorita da queste abitudini scorrette.
Il primo potenziale “killer” dell’apparato cardiovascolare è, quindi, una dieta scorretta. E il secondo?
Sicuramente la scarsa attività fisica, che peraltro osserviamo essere spesso collegata ad una dieta scorretta.
Qui entra in gioco la questione del sovrappeso e del “circolo vizioso” tra usura dell’apparato cardiovascolare e usura del sistema scheletrico
Per spiegarlo ai miei pazienti utilizzo una metafora: “provi ad immaginare di salire una scala o camminare in salita libero e di rifare la stessa salita con due valigie da 10 chili l’una”. È un esperimento che può fare chiunque. Evidentemente il dover aumentare il lavoro cardiaco per dover gestire questo eccesso di peso comporta una serie di conseguenze come un aumento della pressione. In pratica: io sto sottoponendo il mio apparato cardiovascolare ad uno sforzo superiore a quello per il quale è “geneticamente” programmato.
Cambiamo adesso il nostro focus di analisi. I nostri dati ci indicano una lieve prevalenza degli uomini rispetto alle donne in termini di accesso alle prestazioni cardiologiche. Si ritrova in questo dato e come puo’ spiegarlo?
Le spiegazioni sono due. In primo luogo, la donna – almeno fino alla menopausa – è maggiormente “protetta” da patologie cardiovascolari grazie alla presenza degli estrogeni. Non a caso è rarissimo vedere una donna giovane con l’infarto, cosa che purtroppo non è vera per i maschi.
In secondo luogo perché alcune cattive abitudini sono più diffuse nella popolazione maschile, pensiamo al fumo. Su questo dobbiamo però fare molta attenzione, perché i dati ISTAT ci dicono che le donne sono più “resistenti” ad abbandonare il fumo, una volta che hanno “contratto” l’abitudine: quindi mi sento di dire che certamente i fattori biologici incidono ma questo vantaggio rischia di essere annullato da un cattivo stile di vita.
Rimaniamo all’osservazione delle donne. Ci sembra di capire che per le donne dalla menopausa in poi questa protezione ormonale si annulli, è corretto?
Spesso donne in età fertile assolutamente normotese, quando arrivano alla menopausa in concomitanza con i sintomi classici hanno più probabilità di riscontrare anche problemi cardiaci. E poi ci sono anche aspetti psicologici, come una leggera depressione. Devo dire che però frequentemente la cosa tende ad attenuarsi perché il periodo critico è legato al triennio immediatamente successivo alla menopausa.
Ha accennato al tema della depressione. In senso più generale, quanto incide la componente psicologica nella gestione di un paziente con problemi cardiovascolari o anche semplicemente nell’impostazione di un corretto approccio preventivo?
Probabilmente questo è l’aspetto più difficile della professione, perché si fa presto a prescrivere un farmaco o un esame, ma se tu vuoi lavorare sullo stile di vita devi penetrare nella personalità del paziente, il che richiede una grande sensibilità nel professionista. La medicina moderna a volte è un po’ frettolosa e aiuta poco, abbiamo tempi da rispettare. Bisogna qui riuscire a dare un messaggio magari breve ma incisivo.
Lei usa più il prospettare la minaccia o l’incentivo?
Nella mia esperienza l’atteggiamento “terroristico” è controproducente nel senso che magari spaventi il paziente, lui sì “corregge” per qualche giorno ma poi riprende le abitudini scorrette esattamente come prima! Quindi l’atteggiamento deve essere possibilmente persuasivo, deve veicolare intanto il messaggio che “se ti impegni ce la fai” e poi far capire che è importante fissare piccoli obiettivi iniziali, che però’ vanno perseguiti con determinazione. Nei casi di obesità, già imparare ad usare la bilancia tutti i giorni, la mattina quando vai in bagno e concentrarsi su piccoli miglioramenti è una cosa importante.
Ricorre nelle sue riflessioni il richiamo alla prevenzione. Ci sono delle spie di allarme per malfunzionamenti all’apparato cardiaco? Quali aspetti dovrebbero spingere una persona a contattare uno specialista?
Si, sono i classici sintomi cardiogeni. Il primo è la dispnea. Quando uno si accorge che per fare la stessa attività che una settimana prima faceva senza problema, comincia ad avere il fiatone bisogna farsi visitare; poi il cardiologo con accertamenti non invasivi riesce subito a capire se c’è qualcosa. Altro sintomo, e qui c’è tutto il capitolo enorme delle aritmie, è il cardiopalmo, cioè quando uno sente il cuore nel petto battere irregolarmente. Il terzo sintomo, quello più minaccioso, è l’angina pectoris cioè il dolore al petto che compare più frequentemente nelle prime fasi dell’attività fisica. Quando uno salendo la scala, magari portando la valigia, sente una chiusura, un dolore davanti al petto quello è un sintomo premonitore.
Però diciamo che questi sono campanelli di allarme che non necessariamente implicano un problema cardiaco ma devono spingerci ad un monitoraggio
Esattamente. Facciamo alcuni esempi di dolore al petto.
C’è il dolore che osserviamo in età infantile: si tratta spesso di dolori legati alla crescita, quando bambini diventano ragazzi e poi adulti. Ecco questi sono dolori legati al fatto che la gabbia toracica cresce e le strutture intercostali vengono un po’ stirate e possono dare questi doloretti atipici. Le toracoalgie sono diffusissime ma non hanno assolutamente ripercussioni sul cuore.
O ancora, dolore trafittivo o puntorio: questo 99 volte su 100 non è di origine cardiaca.
Viceversa, una sensazione di peso o di dolore costrittivo con delle irradiazioni alla mandibola, alle spalle, alle braccia invece dovrebbe metterci immediatamente in allarme. Ed è chiaro che in questi casi il medico di famiglia rappresenta un primo “gate” fondamentale nella valutazione.
Dott. Stefenelli, lei dirige da anni l’equipe cardiologica di Villa Bianca, a Trento. In che modo le tecnologie stanno cambiando le modalità di valutazione e diagnosi in ambito cardiovascolare?
Una sola parola: ultrasuoni. Noi anche con il semplice ecocardiogramma o l’ecocardiogramma da sforzo riusciamo a fare diagnosi precoci. Ad esempio, l’ecocardiogramma fatto sotto sforzo riesce ad individuare se una delle aree cardiache si muove un po’ di meno delle altre. Se ciò si verifica vuol dire che in quella zona probabilmente arriva meno sangue. A quel punto, ricorrendo a indagini ancor più puntuali quali la coronografia, possiamo valutare se serva intervenire tempestivamente con lo stent sull’arteria che stava per chiudersi. Questo è il classico esempio in cui si salva una persona dall’infarto. Con una banale pedalata si può salvare la vita ad un paziente, perché gli esiti da infarto non sono sempre positivi.
Per concludere, quali consigli si sente di dare ai nostri lettori?
Beh, se dovessi semplificare con uno slogan, direi che uno stile di vita sano favorisce un cuore sano.
Dott. Carlo Stefenelli
Cardiologo